ANELLO DEL MONTOVOLO
Domenica 18 Giugno 2017 - Escursione intersezionale con il CAI di Pescia
di Romano Mellini
foto Mauro Lenzi

Gita Montovolo 01Alle nove in punto, assieme agli amici del C.A.I. di Pescia, partiamo in auto da piazza Protche, davanti alla stazione di Porretta, per l’anello di Montovolo. In cielo l’azzurro la fa da padrone ed il sole brilla implacabile,  sottolineando colline e montagne. Tocchiamo la chiesa di Riola, progettata da Alvar Aalto, la Rocchetta Mattei, il ponte di Verzuno e ci fermiamo in una radura erbosa accanto alla strada nei pressi della Scola, borgo medioevale in ottimo stato di conservazione. Ci incamminiamo lungo una cavedagna, giungendo in pochi minuti nei pressi delle prime case dove ci aspetta il Professor Zagnoni, incaricato di farci da guida per le spiegazioni del caso. La storia ed il medioevo sono qui di casa. Secondo alcuni il nome Scola deriverebbe dal tedesco Skult, posto di guardia, secondo altri dal longobardo Sculca, nominato nell’editto di Rotari, re dei longobardi nella metà del seicento e nella successiva normativa del re, sempre longobardo, Ratchis, di cent’anni dopo. Qui passava il confine tra l’impero bizantino di Ravenna e quello longobardo di Pistoia, per il quale era vitale posizionarvi un efficiente posto di guardia.

Scola divenne, poi, uno splendido borgo irto di torri, edificate, soprattutto, dai maestri comacini. All’ingresso nel borgo, sulla sinistra, si alza un cipresso della veneranda età di circa settecento anni che, e questa è cosa più strana, dà la mano ad un olivo secolare, sopravvissuto nonostante la Scola si trovi a 477 metri d’altezza, accanto ad alte montagne. Poco più avanti, al numero civico 7 si trova la casa di Arturo Palmieri, uno dei più illustri storici della montagna appenninica medioevale. Con la magia negli occhi proseguiamo e notiamo, in fondo alla strada, l’oratorio di San Pietro, costruito nel 1616 dal canonico don Pietro Angelo Parisi. Saliamo a destra per una stradina acciottolata tra case torri che evidenziano soppalchi, finestre lavorate e simboli del medioevo. Al termine della corta salita, sulla sinistra, si costeggia il muro di un’antica osteria, priva a quell’epoca del bagno. Gli avventori, a seguito di abbondanti tracannate di vino, uscivano di corsa e contro il vicino opposto muro scaricavano il loro liquido che ha lasciato, grazie ai sali umani, segni ancora visibili a tutt’oggi. Varcato un voltone si arriva ad una piazzetta molto importante, sulla cui destra si eleva casa Parisi, che prende il nome dalla famiglia che, fino al diciottesimo secolo, fu proprietaria del borgo. Sul portone si legge l’insegna del 1683 “Ostium non hostium” (porta non per i nemici). Ai lati del portone due feritoie del tipo detto “traditore”, attraverso le quali si sparava ai nemici. Di fronte l’antica e precedente casa dei Parisi, risalente al 1300, che reca sulla facciata una meridiana del 1700 e lo stemma della famiglia, in parte cancellato. Continuando per alcune decine di metri, la strada si divide in due direzioni. Al centro del bivio si trova l’oratorio dedicato a San Rocco del 1481, costruito in arenaria in occasione della peste. Nell’arco è stata scolpita una croce latina e verso l’esterno le immagini dei Santi Vincenzo ed Antonio e del Cristo benedicente, che regge un cartiglio con la scritta “Se Salvatore 1481 f”. Forse trattasi di colui che volle la costruzione dell’opera. La strada sulla sinistra, sul lato sinistro, presenta un gruppo di case torri unite da un balcone in legno sorretto da una colonna tondeggiante, detto Pavaglione. Qui avevano la loro sede le imprese degli artigiani. Continuando sulla strada destra (sentiero C.A.I. 039) si ammira la vallata del Limentra orientale, le colline di Castel di Casio ed il lontano Corno alle Scale, fino a raggiungere presto il borgo di Cà’ Dorè, tipico esempio di casa signorile della montagna bolognese del quattrocento. Pochi minuti ancora ed eccoci al borgo medioevale di  Predolo. Tra sorgenti d’acqua cristallina, tra fabbricati che non hanno nulla da invidiare a quelli degli altri borghi vicini, vive un artista, Luigi Faggioli, che scolpisce il marmo facendolo parlare e lo trasforma in dee seminude ed animali mitologici. Queste opere sono adagiate in un prato verde alla vista di tutti. Un centinaio di metri ed ecco Sterpi, altro piccolo borgo medioevale. Magnifiche case abbracciano un oratorio recentemente restaurato in cui, alla fine d’agosto del 1944, venne portata la venerata statua della Madonna di Montovolo per salvaguardarla dai bombardamenti della seconda guerra mondiale, usando l’auto del parroco di Vimignano e con l’aiuto di alcuni fedeli. Tra questi edifici Dante si sarebbe trovato in paradiso. Anche un’altra persona odierna si è trovata in paradiso, Bill Homes, professore emerito di progettazione architettonica alla South Bank University di Londra. Lasciato Sterpi, si continua per un centinaio di metri lungo la strada pressoché pianeggiante fino ad attraversare un’altra strada, proveniente dal paesino di Campolo, che si attraversa  costeggiando il caratteristico borgo “Costa”, ove si possono osservare le case medioevali. L’impressione è quella di vedere un villaggio del tre – quattrocento, dove regna un’atmosfera senza tempo. Par di scorgere Madonne (donne di allora) e Messeri impegnati in piacevoli conversazioni.Gita Montovolo 06 Dal borgo di Costa inizia la mulattiera che affronta a muso duro la scoscesa fiancata di Montovolo. Il percorso è immerso nel bosco e dopo una ventina di minuti sbuca nella strada asfaltata che porta al Santuario della Madonna della Consolazione. In questa natura incontaminata par di sentire l’eco dei Rosari dei pellegrini che si recavano alle cerimonie religiose in onore della Vergine e le imprecazioni dei mercanti di animali che pure loro si incamminavano per raggiungere le fiere nei pressi della chiesa. Una cinquantina di metri sulla strada asfaltata ed imbocchiamo, sulla sinistra, un sentiero impervio che conduce direttamente alla nostra più importante meta, i prati erbosi pianeggianti e gli edifici religiosi  di Montovolo (962 m.). La cima di questo monte è incastrata fra monte Vigese e monte Cantaglia. Il massiccio, dominante la valle del Reno, ebbe le sue origini nel mare Tirreno nei pressi della Corsica e della Sardegna milioni di anni fa. L’atmosfera che si respira è soprannaturale e religiosa, permeata di Credi diversi. Duemilacinquecento anni orsono, in mezzo a questi prati, esisteva un tempio etrusco dedicato a Pale, dea della pastorizia. Il primo colle di Roma si chiama Palatino, toponimo derivato dalla dea Pale così come questo monte, definito allora monte Palense. Le preghiere ed i sacrifici di alcune pecore immolate sull’ara di quel tempio si mescolano, lungo il corso dei secoli, alle preghiere dell’impero romano, in latino, rivolte agli dei falsi e bugiardi (Dante), naturalmente, ed alle Ave Marie dell’era cattolica, prima in latino, quindi in italiano. La sacralità è nell’aria e si coniuga, con la pecunia derivata dai mercati svolti su questo altopiano. Sulla sinistra si trova la foresteria, attualmente ben ristrutturata con portico atto a proteggere i pellegrini in caso di maltempo.Gita Montovolo Gruppo 1 La chiesa attuale sorge sulle rovine del tempio etrusco e su quelle proto romaniche del sette - ottocento. Dopo Costantino, la religione cattolica diventò religione di stato con, di tanto in tanto, rigurgiti, pagani. Durante questo periodo la leggenda parla di Sant’Acazio che, usando la sua prodigiosa lancia, sterminò moltissimi pagani. Un’altra leggenda, invece, racconta di molti cristiani al comando di Sant’Acazio, sconfitti  e crocefissi su questi prati. La primitiva chiesa cristiana risale agli ultimi secoli del primo millennio. Durante questo periodo, la leggenda parla di paladini altissimi e biondi che combattevano contro altri paladini alti e biondi. Forse i primi erano i Franchi di Pipino, giunti nel 754 e gli altri i longobardi chiamati da papa Stefano II. Nel 1054 viene nominato il tempio e nel 1074 papa Gregorio VII lo ricorda citando l’imperatore Gioviano (363 – 364) e papa Agapito, che lo donò al vescovo di Bologna. La chiesa attuale, come afferma una data scolpita sulla porta della chiesa stessa, risale al 1211 ed è dedicata alla Madonna della Consolazione. Fu opera dei maestri comacini, così come la vicina chiesetta dedicata a Santa Caterina d’Alessandria d’Egitto. All’interno, ad unica navata, c’è una statua in legno della Madonna con bambino e un Crocifisso in stile bizantino. Sulla parete di destra si trova un affresco raffigurante i Santi Sebastiano, Fabiano e Rocco e di fronte, forse Sant’Anna e gli affreschi ristrutturati della chiesa di santa Caterina. I primi due affreschi sono del trecento. Nel 1925 furono scoperti sotto l’altare maggiore i resti di un abside trilobata, ritenuti appartenenti ad una meravigliosa cripta. Probabilmente erano le absidi della chiesa primitiva, e recano scolpite nelle pietre immagini simboliche. La facciata esterna è fatta a capanna e presenta sulla fiancata sinistra un portico a tre colonne congiunto alla sagrestia e sulla fiancata di destra un portico terminante contro la canonica, oggi trasformata in bar – ristorante. Il campanile fu eretto sulla destra nel 1825. Il nostro vate ci ha condotto sul retro, da cui si ammira la valle del fiume Setta  percorsa dalla vecchia autostrada del Sole, accarezzata dai colli sui quali avanza il sentiero degli dei che unisce Bologna a Fiesole. L’abside esterno non è curvilineo, bensì rettangolare, costruito secondo l’opus quadratum di Vitruviana memoria. Queste pietre quadrate o rettangolari non richiedono molta calce per la costruzione perché con la loro mole ben levigata sono già stabili l’una sopra l’altra. Le feste più importanti sono quella di Santa Croce in primavera e quella della natività della Madonna l’otto di settembre. Fino agli anni sessanta circa, le feste religiose erano seguite da fiere e mercati che duravano più giorni.Gita Montovolo 15 Dopo aver apprezzato la stupenda chiesa, ci siamo recati duecento metri più a nord, in leggera salita, all’oratorio dedicato a Santa Caterina d’Alessandria d’Egitto. Con molta probabilità il tempietto fu costruito dai crociati bolognesi e dai feudatari della montagna che parteciparono alla quinta crociata (1217–1223) prendendo parte all’assedio di Damietta. Ringraziamento migliore di questo non potevano esprimerlo ed inoltre identificarono il monte Vigese e Montovolo come il Sinai bolognese. L’esterno presenta una porta d’ingresso, una porta laterale sul lato sud e tre monofore nella parte absidale. L’interno, a pianta rettangolare, è diviso in due campate separate da un arco a cavallo del quale vengono rappresentate la vita (paggio ben vestito) e  la morte ( scheletro). Gli affreschi sulle pareti della parte absidale raccontano la vita ed il martirio di Santa Caterina,  nella volta a crociera sono rappresentati il Padre Eterno e gli Evangelisti fra angeli. Sulle pareti della campata dell’ingresso vengono raffigurati l’inferno, il purgatorio ed il paradiso e nei medaglioni sulle volte i padri della chiesa. Nei pressi dell’altare si trova un piccolo sarcofago in pietra della stessa misura di quello che si trova sul Sinai, contenente le reliquie della Santa. Di fronte al sarcofago, nella parte opposta, c’è una bella statua settecentesca policroma rappresentante Santa Caterina e in un angolo si trovava, prima di essere rubata, la punta della lancia di Sant’Acazio.Gita Montovolo 17 Usciti dall’oratorio e procedendo verso il balzo, campeggia un’edicola contenente una croce marmorea, che ne ricorda l’apparizione miracolosa nel 1399. Dal bordo del precipizio il panorama è mozzafiato. Visione aerea del borgo di Oreglia, Vergato, Stanco di sotto e Stanco di sopra, la ferrovia porrettana, il Reno e la strada statale 64. Lo sguardo procede verso nord arrivando fino al colle della Guardia, che culmina con il Santuario di San Luca. La vetta di Cantaglia, appena sulla sinistra, ricorda uno degli ultimi castellacci dei conti di Panico, detto “Rocca bruna”. Da questo precipizio si buttò una giovane sposa di diciotto anni il 30 agosto del 1904. Dodici anni prima, 23 aprile 1892, si era gettato nel vuoto un cartolaio. Nei pressi del baratro sono collocati dodici sassi sui quali ci si può riposare ricordando i dodici studenti dell’istituto Salvemini di Casalecchio, uccisi da un velivolo dell’aeronautica militare impazzito e lì caduto il 6 dicembre 1990 sulla loro scuola. Questi sassi rappresentano il termine del percorso della memoria. Ritorniamo alla chiesa di Santa Maria della Consolazione lungo questo percorso impreziosito da dodici piccole steli su cui sono applicati quadretti di ceramica smaltata col nome di un fiore e la foto delle undici studentesse e dello studente uccisi dall’aereo. Fu scelto questo luogo sacro nei secoli  per ricordare quanto accaduto per far sì che l’avvenimento non finisca nel dimenticatoio. All’inizio del percorso, per noi al temine, su di una stele in arenaria, è riportata una poesia scritta da un carcerato intitolata

Gita Montovolo 19“L’ISOLA DEL TESORO”.                                                              

Un’isola per tutti voi/ teneri boccioli al vento/ stritolati dal tuono ardente/ di un acciaio troppo gelato/ perché fiorissero in cento/ mille rami di pesco/ un’isola di quiete/ Debora e Antonella/ su cui approdare quando intorno è tempesta/ in attesa di giornate luminose ed isolate/ per potere ripiegare le valli/ e salpare verso nuovi orizzonti/ un’isola di Certezza/ Sara, Laura/ fresca come l’acqua pura di sorgente/ da bere quando l’esistenza l’impone/ delle scelte e vorremmo tanto capire/ qual’è il senso della vita/ un’isola di speranza/ Laura, Elisabetta, Alessandra/ in un ritrovare la perduta fede in Dio/ che ci vuole vittima di crudele dolore/ ed una colpevole espiazione/ un’isola di comprensione/ Carmen, Dario, Tiziana/ per cullarci su amache di calore umano/ quando l’indifferenza apre le braccia e ci circonda/ costringendoci a scelte esagerate come/ unico modo per dire che ci sono anch’io/ un’isola di tristezza/ Elena e Alessandra/ quando l’onda dei sentimenti contrastanti/ s’abbatte sulle fragili rive del cuore commosso/ per letture di struggenti amori/ un’isola di coraggio/ anche per tutti noi/ a cui attingere la necessaria forza/ quando corriamo contro la falsità/ la stupidità la cattiveria/ di inutili manovre distruttive/ che ci vogliono nel viaggio/ fianco fianco colla morte/ senza averla noi scelta per compagnia/ un’isola di ricordi da conservare/ da difendere con grande solidarietà/ Perché il domani sia migliore/ Perché in futuro non si debba più, mai più/ spargere sangue innocente per assurdi/ giochi di potere che non ci appartengono/ un’isola con parchi azzurri e mari smeraldo/ da diventare un grande fuoco/ Perché non compaia/ Perché ci aiuti, malgrado tutto ad amare/ a continuare/  a credere/ a sperare/ a sognare/ a vivere.
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Addio monte sacro per l’eternità. Si ripassa davanti alla chiesa Santuario e sotto al portico della foresteria consumiamo un frugale pasto. Dopo aver salutato il prof. Zagnoni, scendiamo per la strada verso il parcheggio, grazie ad una scorciatoia, eliminiamo un tornante e lungo l’asfalto, raggiungiamo la Serra dei Coppi in una decina di minuti. Questa sella divide Montovolo da monte Vigese sul quale, secondo la teoria del Sinai bolognese, Mosè prese da Dio le tavole della legge. Imbocchiamo il sentiero che s’inerpica a muso duro all’ombra delle querce. Una ventina di minuti ed il sentiero si divide in due direzioni, quella che continua a salire per la cima di monte Vigese e quella che  inizia a scendere leggermente lungo il fianco della montagna (sentiero CAI 039B). Mezz’ora ed eccoci su di un’altra strada asfaltata. Visione sublime fissa al medioevo. Il borgo di Sereto di Vigo ci accoglie con le sue case ben ristrutturate e poco oltre, solitaria, ai piedi del terribile picco roccioso, si staglia la chiesa di Vigo intitolata a Santo Stefano.
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Il tempio viene nominato nel 1378 e rifatto nel 1598 assieme al campanile. Vigo (696 m.) fu per un certo periodo sede dei capitani della montagna, prima che questa fosse trasferita a Castel di Casio e quindi a Vergato. Questo picco roccioso o sasso, secondo una leggenda popolare fu trasportato dal diavolo il quale, stanco, lo abbandonò lì. Dal fondo valle ed in particolare dalla collina dirimpettaia di Castel di Casio si nota bene l’incavo della schiena del demonio, rimasto impresso su questo sasso in bilico sui boschi sottostanti. Dalla chiesa di Vigo iniziamo a scendere al borgo, pur esso, medioevale, di Tremonte. Lo attraversiamo e c’incamminiamo per una cavedagna che si stende per un centinaio di metri lungo un prato erboso, fino a raggiungere un altro sentiero che si butta a capofitto nel bosco rasentando, in alcuni punti, un profondo burrone. Scesi ancora, raggiungiamo la chiesa di Verzuno (490 m.) dedicata a San Giovanni Battista. Questo tempio antichissimo fu pieve con ben 14 chiese alla sua dipendenza. Il tempo stringe e ci incamminiamo a destra per una sterrata, osservando un poco più sotto il paesino dominato da alcune case torri di Vigaia. La strada procede, in parte in leggera salita ed in parte pianeggiante all’ombra dei querceti. In alto, sulla destra, svetta il sasso di Vigo, lanciato nel baratro. Il medioevo ci accompagna negli edifici di Nosoto e di Ca’ Brunetti dove rincontriamo la strada asfaltata. Ca’ Brunetti racconta un’antica storia di prepotenza e di banditismo. Da una cavernetta scavata nella roccia spunta una fonte che lungo il corso dei secoli ha formato una protuberanza simile alla testa di un coccodrillo. Le solite case torri ci guardano dall’alto. Scendiamo per la strada percorsa in salita durante la mattinata, salutiamo da lontano casa Dorè ed arriviamo alle macchine. Ringraziamo gli ospiti del C.A.I. di Pescia che hanno condiviso con noi la stupenda giornata e gli organizzatori dell’escursione: Mauro Lenzi e  Franco Soldati. Grazie Club Alpino italiano che riesci a trasformare in realtà la nostra storia sospesa nella magia e nella bellezza.

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